In tutta l’africa si possono trovare tracce importanti dei secoli passati e uno dei più curiosi e, allo stesso tempo terrificanti, è la porta del non ritorno di Ouidah.
Per circa 500 anni, la costa africana del golfo di Guinea, è stata la zona dove venivano imbarcati gli schiavi, preventivamente venduti ai mercati locali, per essere portati verso le Americhe a lavorare. Per farla molto breve, dopo qualche mese di viaggio, quelli che arrivavano vivi, mantenevano il privilegio di essere sfruttati per il resto della loro vita.
Lungo la spiaggia della città di Ouidah, una cittadina nel sud del Benin, si può trovare, ancora oggi, il luogo dove venivano imbarcati gli schiavi. La chiamano “la porta del non ritorno” e credo che il nome definisca sufficientemente la funzione del luogo.
Da questa porta si passava per essere imbarcati per poi essere rivenduti nel paese di destinazione. Visitare quel luogo lascia un senso di impotenza e fatico ancora a capire come il colonialismo possa essere stato così spietato.
Durante il mio soggiorno in Benin, ho avuto l’occasione di visitare il paese e di conoscere molti piatti tipici. Uno dei tuberi più usati si chiama igname. È un tubero simile alla manioca con una consistenza simile alle patate che si può mangiare in molti modi.
Lungo le strade di Cotonou si possono trovare dei gruppetti di 3-4 donne che con dei grandi pestelli, lunghi anche un metro e mezzo, pestano con forza l’igname bollito nel mortaio.
Hanno un ritmo coordinato e i colpi che sferrano nel mortaio produce un suono cupo, legnoso. Una musica africana accompagnata spesso da canti locali che le donne intonano mentre lavorano. Si sente l’africa viva nei colpi delle donne, si respira umanità.
L’igname viene ridotto in una pasta simile ad un denso purè di patate con un sapore molto gradevole. Si usa poi come contorno a piatti di carne o pesce.
Mi ha toccato molto il periodo che ho trascorso in Benin perché questo paese ha trascorso un colonialismo differente da quello del Congo o di altri paesi. Terribile e atroce, naturalmente, come tutti gli schiavismi.
Ho voluto preparare dei supplì di igname speziato ripieno di formaggio asiago e cubetti di capocollo. Un modo per portare in Italia un pezzettino di Benin.